Pubblicato 25/07/2018
Un numero sempre crescente di aziende, in Italia e nel resto del mondo, si stanno impegnando ad abbandonare uova e ovoprodotti da allevamenti in gabbia, un'ondata di impegni grazie ai quali milioni di animali ogni anno potranno avere una vita migliore. Tramite le loro comunicazioni, inoltre, le aziende potranno anche giocare un ruolo fondamentale nell'informare e sensibilizzare i consumatori. Il trend ad abbandonare le gabbie è in continua espansione, ma alcuni settori, soprattutto in Italia, sembrano rimanere un passo indietro.
L’effetto domino, partito negli Stati Uniti con l'annuncio di McDonald’s, ha generato nel Paese una reazione a catena su realtà come Walmart, Wendy’s e Starbucks, e ha raggiunto, nel corso degli ultimi due anni, anche l’Europa. A partire è stato il Regno Unito, dove nel 2016 tutti i principali supermercati si sono impegnati a eliminare dai propri scaffali le uova da galline allevate in gabbia: a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro, anche Tesco, Aldi, Asda, Morrisons, Lidl e Iceland hanno seguito la strada già tracciata da realtà come Waitrose e Marks & Spencer negli anni precedenti.
A livello globale, il settore della ristorazione ha iniziato a seguire quello della grande distribuzione. Tra le prime realtà a impegnarsi, il leader francese Sodexo, Compass Group, Aramark e Gruppo Elior hanno tutte annunciato un impegno ad abbandonare il 100% delle uova provenienti da sistemi in gabbia entro il 2025.
Anche se con un certo ritardo, la transizione ha coinvolto anche la ristorazione on the road europea: nel Regno Unito, Casual Dining Group, così come Pret a Manger, Whitbread (che ha esteso l'impegno anche a tutti i propri marchi in UK e Germania), TGI Fridays e Greggs si sono impegnati ad abbandonare le gabbie in tutte le loro filiere di uova in guscio e ovoprodotti. In Francia, impegni simili sono stati presi da diverse realtà della ristorazione come Flunch, Brioche Dorée e Lagardère Travel Retail, oltre a svariate aziende produttive come Danone, St Michel, Sodebo e La Boulangère. Il ritmo al quale si è assistito a queste transizioni è la prova di come le aziende più all'avanguardia abbiano un ruolo catalizzatore nel guidare il cambiamento.
La situazione in Italia
Nel nostro paese alcune aziende, soprattutto del settore della produzione, si sono distinte per tempistiche ed efficacia: già nel 2011, ad esempio, il Gruppo Barilla è stato tra i primi ad abbandonare le uova da galline in gabbia, estendendo poi l'impegno a livello globale entro il 2020. Tra le realtà virtuose in questo settore anche Ferrero, che nel 2015 ha completato l’eliminazione delle gabbie nelle filiere europee di uova e ovoprodotti.
L'anno scorso è partita poi l'ondata su grande scala anche in Italia, coinvolgendo i principali supermercati nazionali: oltre a Coop, anche Esselunga, Carrefour, Lidl, Auchan e Gruppo PAM hanno già eliminato, o si sono impegnati a farlo, la vendita di uova da galline allevate in gabbia.
Purtroppo però, a differenza del resto d'Europa, in Italia il settore della ristorazione si presenta ancora molto eterogeneo. La prima grande realtà italiana a prendere un impegno a lungo termine su uova e ovoprodotti è stata CAMST, seguita successivamente da altre aziende, come Gruppo Pellegrini, Markas e Marr. Tuttavia, se il settore della ristorazione collettiva e del catering sembra fare passi avanti, le grandi realtà della ristorazione on the road faticano ancora a prendere una posizione.
È senza dubbio un momento di grande cambiamento per il benessere delle galline ovaiole e la speranza di un’era senza gabbie nella produzione moderna di uova si fa sempre più concreta. Tuttavia, per offrire prodotti di qualità accessibili a tutti, è fondamentale arrivare al punto in cui le uova da sistemi non in gabbia rappresentino lo standard e non l'eccezione, e per farlo serve l'impegno di tutti gli attori dell'industria alimentare. È giunto quindi il momento che anche le realtà di maggiore rilievo della ristorazione on the road accolgano le richieste del mercato, degli investitori e dei consumatori, impegnandosi a mettere fine alle gabbie per le galline ovaiole.
Molti degli impegni presi sono a lungo termine e si dovrebbero realizzare al più nell'arco dei prossimi 7 anni, tuttavia alcuni produttori iniziano già a temere di non riuscire a stare al passo con le nuove richieste di mercato e stanno effettuando transizioni parziali verso sistemi di allevamento non adatti alle esigenze degli animali e alle richieste dei consumatori, come quelli combinati. Il 2025 pone una scadenza del tutto realizzabile, ma è necessario che la transizione inizi ora e sia fatta in maniera graduale e appropriata. In questo contesto il ruolo della ristorazione è quanto più fondamentale: con il crescere del numero di aziende che si impegnano ad abbandonare le gabbie, cresce il supporto verso i fornitori, perché l'aumento della richiesta di uova non in gabbia contribuisce a dare la fiducia necessaria per investire su sistemi innovativi, alternativi e adatti al benessere delle galline. I risultati di questo cambiamento saranno più concreti e sostenibili solo grazie a una stretta collaborazione di tutti gli attori della filiera, in tutti i settori dell'industria.
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